La plusvalenza è un valore aggiunto, ovvero un aumento di valore di specifici beni in un dato arco di tempo. Scopriamone i dettagli.
Cos’è una plusvalenza?
Il termine plusvalenza indica un aumento di valore, in un determinato arco di tempo, relativo a specifici beni e valori mobiliari. Si tratta di una forma di arricchimento, pertanto viene applicata una tassazione. Nello specifico la plusvalenza può essere determinata da:
- beni quali immobili, aziende o beni strumentali, ovvero l’insieme di beni materiali e immateriali utilizzati dalle imprese e dai professionisti per lo svolgimento delle proprie attività
- valori mobiliari, strumenti di investimento finanziario come le azioni, una delle differenti possibilità di investimenti possibili attualmente.
Utilizzando una terminologia economica, la plusvalenza è definibile come un incremento di valore, più specificatamente la differenza positiva data tra i due valori, di uno stesso bene, riconducibili a momenti diversi essendo il primo momento, generalmente, il momento dell’acquisto. Questo aumento di valore, che risulta associato ad un titolo, di per sé non contribuisce a formare reddito, anche se nella pratica può determinare una entrata.
Per fare un esempio pratico: è stato svolto l’acquisto di 1.000 azioni dal costo di 1 euro ciascuna. Dopo un arco di tempo di 10 anni queste azioni hanno raggiunto il valore di 2 euro ognuna. Il valore complessivo delle azioni è passato a 2.000 euro. Questo aumento di valore è la plusvalenza.
Un aumento di valore, si specifica, ancora latente, che non fa reddito. L’aumento effettivo di capitale si avrà quindi al momento della vendita. L’esempio appena indicato spiega anche la differenza tra il valore economico e il valore finanziario. Due tipi di valore che non sempre sono coincidenti.
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Quando si genera una plusvalenza?
In ambito finanziario la plusvalenza prende il nome di capital gain o, in alternativa, guadagno in conto capitale. E con tutti questi termini viene identificata la differenza tra:
- il prezzo di vendita o di rimborso di un dato strumento finanziario, come le azioni, le obbligazioni convertibili, le operazioni a premio
- il prezzo di acquisto o di sottoscrizione dello stesso strumento finanziario.
Si dà, in ogni caso, plusvalenza solo quando la differenza sia di segno positivo. È possibile ottenere capital gain quindi nei casi in cui una azione, ad esempio, viene venduta ad un prezzo che risulta essere superiore rispetto all’importo esborsato per l’acquisto. La plusvalenza, in un contesto di investimenti, rappresenta comunque una porzione del rendimento totale, dal momento che non tiene in considerazione gli eventuali incassi periodici quali i dividendi.
Anche nel settore degli investimenti immobiliari, per fare un secondo esempio, il meccanismo della plusvalenza non cambia. Si dà plusvalenza quando si produce un aumento di valore del dato bene immobile rispetto al valore del momento di acquisto. Se si cede un immobile, quindi, la plusvalenza è data dalla differenza tra il prezzo di acquisto e il prezzo al momento della vendita.
Principali tipi di plusvalenze
A seconda della loro origine, si distingue tra:
- plusvalenze ordinarie che derivano dalla cessione dei beni, che rientrano nella gestione d’impresa e che sono ormai privi di utilità
- plusvalenze straordinarie che derivano dalla cessione di beni in un contesto di ristrutturazione di una azienda o, più in generale, dalla cessione di beni che non sono impiegati in modo diretto nelle attività che caratterizzano un’azienda.
Esistono poi specifiche tipologie:
- plusvalenza immobiliare, o da cessione di immobile, è definibile come differenza tra il prezzo dell’immobile in data di acquisto e quando è stata perfezionata la vendita. La tassazione, si anticipa, è applicata solo per un periodo non inferiore ai cinque anni dall’acquisto quando a vendere sono privati che non svolgono attività commerciale
- plusvalenze patrimoniali derivanti dai beni differenti dai beni che concorrono a generare ricavi, e risultano essere costituite dalla differenza positiva tra il corrispettivo di vendita e il costo, non ammortizzato, dei beni che sono stati ceduti. Costituiscono reddito d’impresa, materia imponibile
- plusvalenza da cessione azienda, che si ottiene dalla differenza tra il prezzo stabilito di cessione dell’azienda e il valore contabile dei beni che risultano ceduti. Nei casi in cui il costo dell’acquisizione è maggiore rispetto al valore dei beni, l’acquirente deve iscrivere la differenza al momento dell’avviamento
- plusvalenza da cessione quote, di partecipazioni qualificate e partecipazioni non qualificate, che si verifica in caso di differenza positiva tra il corrispettivo che viene percepito, oppure il valore o la somma dei beni rimborsati, e il valore che risulta assoggettato a tassazione.
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Quando si genera una plusvalenza come viene trattata in bilancio?
La plusvalenza, indipendentemente dall’asset che l’ha generata, è un elemento imprescindibile per chiunque deve svolgere una valutazione del reddito di una data impresa. La plusvalenza richiede la registrazione nel bilancio civilistico. In termini più esatti, va inserita nel conto economico, nella sezione relativa ai proventi e agli oneri finanziari.
Il bilancio civilistico è più noto con il termine di bilancio aziendale, il documento di sintesi relativo agli avvenimenti economici e patrimoniali accaduti nell’arco di 12 mesi, ovvero durante un anno fiscale. Questo bilancio serve a determinare in modo corretto tanto gli utili quanto le perdite, oltre alle variazioni del patrimonio d’impresa.
La specifica sezione del conto economico può comunque variare a seconda del tipo di plusvalenza, che può essere ordinaria oppure straordinaria. Quindi:
- la plusvalenza ordinaria va inserita nella sezione A) Valore della produzione, come voce “altri ricavi e proventi”
- la plusvalenza straordinaria va posta nella sezione E) Proventi e oneri straordinari, sotto la voce “proventi”.
Come si tassano le plusvalenze?
Le diverse tipologie di plusvalenze sono soggette a specifiche tipologie di tassazione. In ambito immobiliare l’aumento di valore dovuto alla cessione di immobili è soggetto ad una imposta sostituiva del 26%. Sarà premura del notaio versare l’imposta sostitutiva utilizzando il modello F24.
Le plusvalenze patrimoniali formano reddito, nel periodo d’imposta in cui le si è realizzate. Se invece i beni risultano essere stati posseduti in un periodo non inferiore ai tre anni, la tassazione viene effettuata attraverso delle quote costanti, con un tetto di cinque esercizi.
L’aumento di valore dovuto a cessione d’azienda non è imponibile ai fini IRAP. Si tratta infatti di un tipo di operazione soggetto a imposta di registro del 3% ed escluso da IVA. Nel caso della cessione delle quote viene applicata una imposta sostitutiva del 26%.
Con riferimento ai titoli di Stato, che sono un tipo di obbligazioni, la tassazione delle plusvalenze, definibili in questo contesto capital gain, ovvero guadagno ottenuto attraverso uno strumento finanziario, l’aliquota prevista è del 12,50%.
Cosa succede se non si dichiara una plusvalenza?
La plusvalenza è soggetta a tassazione. Nel caso, ad esempio, di capital gain che deriva dall’attività di trading online, l’aliquota è del 26%. Ma cosa accade se il capital gain non viene dichiarato? Può succedere che un investitore, magari alle prime armi, dimentichi di dichiarare questo tipo di guadagno.
Il fisco si muove con le seguenti attività:
- accerta l’imposta relativa alle plusvalenze guadagnate
- stabilisce la possibilità di comminare sanzioni amministrative o penali.
Per gli importi non dichiarati le sanzioni possono raggiungere il 240% dell’imposta che risulta essere evasa. I tempi degli accertamenti sono di 7 anni, quando gli investimenti sono stati effettuati su piattaforme non italiane; questo termine può in ogni caso essere prolungato fino a 14 anni quando gli investimenti sono stati effettuati in Paesi che l’Agenzia delle Entrate considera a rischio.
Se l’investitore decide per il pagamento delle tasse per la plusvalenza, prima della ricezione della cartella esattoriale può scegliere il cosiddetto ravvedimento operoso, per sanare la propria posizione.
Plusvalenze esenti da tassazione
Esistono tuttavia circostanze nelle quali le plusvalenze risultano esenti da tassazione. Una prima circostanza è determinata da un aumento di valore dovuto alla compravendita di titoli, quando sono soddisfatti alcuni requisiti quali:
-
- chi vende ha detenuto per 12 mesi ininterrotti le partecipazioni nel periodo precedente alla vendita
- le partecipazioni risultano classificate come “immobilizzazioni finanziarie” al momento di chiusura del primo bilancio, quando il venditore era in possesso delle partecipazioni
- la società partecipata non beneficia di uno stato a fiscalità di vantaggio. Stato che deve essersi protratto per almeno tre periodi di imposta che siano precedenti alla cessione
- la società partecipata esercita in prevalenza un’attività di tipo commerciale. L’attività deve essere stata svolta dall’avvio del terzo periodo di imposta che precede la generazione della plusvalenza.
Come si fa a non pagare una plusvalenza immobiliare?
Non sempre una plusvalenza immobiliare, come si è appena accennato, è soggetta a tassazione, ci sono circostanze in cui il guadagno ottenuto dalla vendita di un bene immobile non determina alcuna attenzione, per così dire, da parte del fisco.
Nel settore real estate, ricordiamo, si ha plusvalenza quando la vendita dell’immobile avviene entro i 5 anni rispetto all’acquisto. La vendita di un immobile che sia stata effettuata 3 anni dopo l’acquisto e abbia generato una plusvalenza di 15.000 euro, richiede il pagamento delle tasse. Alla plusvalenza lorda di 15.000 euro sarà applicata l’aliquota del 26%, o il relativo scaglione IRPEF.
Le ulteriori eccezioni che non richiedono il pagamento di tasse sono date da:
- immobili ricevuti in eredità
- immobili che sono adibiti a prima casa
- cessione gratuita di un immobile
- vendita dopo 5 anni dell’immobile
- immobile a scopo commerciale.
Ogni altra circostanza richiede la tassazione della plusvalenza, che viene considerata dal fisco una vera e propria possibilità di guadagno da parte del proprietario dell’immobile.
Quali plusvalenze si possono rateizzare?
Le plusvalenze patrimoniali, che sono derivate dalla cessione di cespiti aziendali (il termine cespite indica i beni sia materiali sia immateriali che sono utilizzati nel processo produttivo di una azienda, grazie ai quali è possibile generare profitto) concorrono alla formazione del reddito di esercizio, e possono essere rateizzate L’arco di tempo di riferimento è il periodo d’imposta durante il quale le plusvalenze sono rateizzate.
È anche possibile una rateazione nel caso in cui i beni vengono posseduti da almeno 1095 giorni, o 3 anni. Può generare plusvalenza, e quindi essere rateizzato, il risarcimento per il danneggiamento e la perdita di beni che non siano merce. Il risarcimento deve comune avvenire in forma assicurativa.
L’articolo 86 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), articolo che regola tutti i casi che si stanno passando in rassegna, permette inoltre la rateazione delle plusvalenze, che derivano da cessioni a titolo oneroso, quindi dalla vendita, di beni della impresa fino a un massimo di cinque esercizi.
Come rateizzare una plusvalenza?
Sempre secondo l’articolo 86 del TUIR, al comma 4, è possibile rateizzare la plusvalenza in quote costanti. Affinché sia possibile la rateazione è però necessario che da almeno tra anni si sia stati in possesso dell’azienda.
La rateizzazione va indicata nella dichiarazione dei redditi, e può essere effettuata anche dalle società che sono in liquidazione. Se la liquidazione ha termine prima della fine della rateizzazione, tutte le quote rimanenti, che non ancora soggette a imposizione, di necessità concorreranno alla formazione del reddito imponibile.