Crowdfunding e sharing economy

Crowdfunding e sharing economy possono essere considerati due facce della stessa medaglia: il cosiddetto finanziamento dalla folla a favore di un modello di economia della condivisione.

 

Sharing economy, un modello economico di condivisione

Il termine sharing economy inizia ad essere alla portata di tutti a partire dal 2010. Questo è l’anno della pubblicazione del volume What’s mine is yours – The rise of the collaborative consumption, scritto da Rachel Botsman, della Oxford University. Economia della condivisione e, soprattutto, consumo collaborativo. È stata Botsman a teorizzare in modo esplicito che tutti gli oggetti che non sono utilizzati sono di fatto un asset, ovvero un oggetto monetizzabile, profittevole.

L’idea era stata già applicata, intuitivamente, dai due fondatori del colosso della sharing economy che risponde al nome di Airbnb, Brian Chesky e Joe Gebbia, nel 2007. Ma la sharing economy non sarebbe stata possibile senza il ricorso alla innovazione tecnologica e al digitale.

Le caratteristiche della sharing economy sono:

    • l’adozione di un modello circolare applicato alla produzione, alla distribuzione e alla fruizione di beni o di servizi. Un modello che si basa sulla over-capacity, ovvero la sovraproduzione di un bene o di un servizio inizialmente non assorbibile dal mercato
    • la disintermediazione, resa possibile per mezzo di piattaforme digitali
    • la re-embeddedness, termine che indica un nuovo radicamento delle attività di tipo economico nella società e, in modo più concreto, nelle relazioni sociali.

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Sharing economy e innovazione

L’economia della condivisione fa leva dunque sulla innovazione e sulla tecnologia. Grazie al progresso tecnologico è possibile fruire, con relativa facilità ed efficacia, di servizi e di beni che sono condivisi in contesto digitale.

In un simile contesto, sono le start up innovative a trainare l’economia della condivisione, come modelli d’impresa, a loro volta basati su business plan, che agiscono in modalità disruptive, ovvero cambiano di prepotenza le condizioni del mercato, costringendo attori del mercato stesso, e attori istituzionali, ad iniziare la corsa per adeguarsi.

 

Sharing economy, esempi

Le start up e le PMI innovative che puntano sulla economia collaborativa sono ormai numerose, con modelli di business basati sul peer-to-peer sharing. Un modello di business che presenta diversi vantaggi, tra i quali possono essere indicati:

  • la possibilità di guadagnare grazie ad asset non utilizzati, o sottoutilizzati
  • risparmio economico, da parte del cliente
  • opportunità lavorativa, per chi detiene gli asset
  • costi ottimizzati
  • un impatto ambientale ridotto, tenendo anche conto di quanto tecnologia, per fare un esempio, e agriturismo sostenibile siano strettamente legate, come dimostra l’agribusiness.

Di seguito, alcune idee di economia di condivisione che sono già parte della vita di moltissimi consumatori:

    • Airbnb, come accennato in precedenza. Il principio sottostante è definito rental economy, ovvero una forma di affitto condiviso o, se si preferisce, di noleggio condiviso. Cui il cliente accede per mezzo di un sito e di un’app
    • Uber, che basa la propria vision proprio sui princìpi di economia collaborativa. È un caso di sharing mobility. Il cliente accede attraverso un’app scaricabile su smartphone
    • Netflix, non definibile come piattaforma di sharing in termini stretti, così come Spotify, anche se in entrambi i casi è possibile un accesso condiviso delle risorse
    • esistono realtà di scooter-sharing, car-sharing e bike-sharing sia private sia gestite da Comuni. Tutte realtà appartenenti alla cosiddetta smart mobility. Categoria alla quale vanno ascritti il camper-sharing o il boat sharing
    • nel caso del co-working, si assiste alla possibilità di condividere spazi di lavoro tra più professionisti, come attestato nelle grandi aree metropolitane.

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Crowdfunding a favore della sharing economy

Diffuso dopo il 2009, quando il credit crunch (stretta dei crediti) ha di fatto richiesto altre modalità di finanziamento che non passassero necessariamente attraverso istituti bancari, mercato azionario o fondi di investimento, l’equity crowdfunding si adatta alla sharing economy in modo piuttosto naturale.

Questo adattamento è determinato dai princìpi condivisi e, sostanzialmente, anche dagli stessi strumenti digitali. Nell’equity crowdfunding si ha, infatti, la possibilità di:

  • condividere un investimento insieme ad una “folla”, tale è il significato del termine “crowd”
  • investire somme relativamente contenute, poiché attraverso il crowdfunding è possibile avere un ritorno di investimento anche con una somma pari a 10000 euro
  • scegliere la campagna sulla quale investire attraverso piattaforme dedicate, e vigilate dalla Consob.

In conformità con la somma che è stata investita, l’investitore ha la possibilità di partecipare non solo dei dividendi, ma anche delle scelte amministrative e di strategia della realtà che ha deciso di finanziare.

Una modalità di investimento, quella del crowdfunding, che permette di investire online e di essere concretamente parte attiva della sharing economy.
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